MAURO BERRUTO: IL LIFE COACHING? L’ARTE DI INSEGNARE AD ENTUSIAMARSI

MAURO BERRUTO: IL LIFE COACHING? L’ARTE DI INSEGNARE AD ENTUSIAMARSI

Mauro Berruto, torinese, 48 anni, laureato in Filosofia, grande allenatore di volley: ha portato la Nazionale italiana maschile ai vertici mondiali di questo sport dal 2010 al 2015 creando non soltanto un squadra ma un gruppo di uomini, prima che di atleti. Insegnare l’impegno intelligente per la crescita personale al servizio del collettivo il segreto del suo successo: una caratteristica che gli ha fatto meritare il titolo di “life coach” dopo quello di sportivo di altissimo profilo culturale.

Un filosofo prestato allo sport, si potrebbe anche dire. Non un paradosso ma una realtà sempre più condivisa, concretizzatasi nell’affidamento, due anni fa, dell’incarico di AD della Scuola Holden, prestigiosa fucina torinese di talenti dello storytelling: scrittori, sceneggiatori, autori radiotelevisivi…“Berruto – ha affermato Alessandro Baricco, il fondatore della Scuola, nel comunicare la sua nomina- è uno sportivo abituato a gestire altre persone, successi e sconfitte: noi abbiamo sempre avuto un debole per questi tratti negli sportivi”.

“ll linguaggio sportivo –ha risposto di rimando Berruto- è universale ed esiste nel DNA di questa Scuola. Per questa ragione, in piena coerenza con la didattica, mi piacerebbe ampliare il territorio dello storytelling: si potrà inserire lo sport, in campo giornalistico, televisivo e cinematografico…”. Una concezione anche “letteraria” dello sport, ma di alto profilo, come tutto quello che si può con l’impegno intelligente nella vita.

Abbiamo incontrato Mauro Berruto al Festival del Lavoro di Torino 2017, sul palco della presentazione del libro “SAPERE PER ESSERE- Dizionario di crescita personale” di Enrico Prenesti, durante la giornata inaugurale.

“Lo sport ha un valore estremamente importante nella vita di oggi- ci dice- ed è sempre stato così, dall’epoca degli Antichi Greci a Don Bosco”… Nonostante gli stravolgimenti di valori che spesso caratterizzano il mondo sportivo attuale, dove il marketing e i flussi di denaro generati dai media mettono sempre e comunque al primo posto il risultato, diventato più che valore, un totem al quale sacrificare tutto: persino la propria salute. Eppure lo sport, quando si ha la capacità di mettere in campo la sua natura più antica, profonda e nobile, può essere ancora (nonostante le distorsioni) non soltanto un potente fattore educativo ma anche una sentinella preziosa di problemi sui quali agire per risolverli.

“Sulla base della mia esperienza di coach, posso dire – afferma Mauro Berruto- che le nuove generazioni sono afflitte da una scarsa capacità di attenzione che non riescono a mantenere viva a lungo; ma nello sport, come nella vita, la continua capacità di attenzione è indispensabile per raggiungere qualsiasi risultato. Non saprei dire perché questo accada, ma è una grave carenza che mi preoccupa anche come padre”. Forse i giovani sono sottoposti a troppi stimoli contemporaneamente ma tutti, come società nel suo complesso, abbiamo forse barattato l’accesso facilitato a tante informazioni con un po’di profondità che abbiamo smarrito e questo ci impedisce di riflettere come sarebbe necessario”.

“Tutti gli allenatori -continua Berruto- intendendo con questo termine tutti gli educatori (oltre ai coach dello sport, gli insegnanti, i genitori…) devono in primo luogo far scoprire la passione per le cose; una passione che, proprio a causa dell’eccesso di stimoli, molto raramente può durare tutta la vita come avveniva una volta”.

Insegnare a coltivare la passione significa offrire la possibilità di guardare a viso aperto la vita non come fosse un frutto da divorare ma un albero da frutto da conoscere, coltivare, accudire, amare e magari mettere a disposizione di altri che in futuro condivideranno lo stesso amore. Come facevano un tempo i vecchi nel Bacino del Mediterraneo: piantavano viti e ulivi sapendo che non avrebbero mai misto i loro frutti ma coltivando la convinzione che in quelle piante qualcosa di loro (intimo, prezioso, unico) sarebbe transitato ai loro discendenti. E per questo che ulivi e viti sono piante sacre nella nostra cultura.

Guardare a viso aperto la vita significa in primo luogo coltivare la curiosità e il coraggio di mantenere lo stupore che i bambini hanno verso la vita. “Per sei mesi, quando ero a Montichiari –ci dice Mauro Berruto dal suo sito Internet- ho persino allenato una squadra di detenuti di un ospedale psichiatrico giudiziario. Non è retorica dire che da tutti ho imparato qualcosa. Qualcosa che mi ha reso felice o che mi ha fatto male, qualcosa che non capivo, ma che poi mi sarebbe servito, qualcosa che ho vissuto come pura bellezza oppure qualcosa che è stato brutto, doloroso, senza significato. Di sicuro sono certo di aver messo in campo, in quei cinque incredibili anni con addosso la maglia azzurra, tutto quello che, in quel giro lungo, ho imparato. Allenare la nostra Squadra Nazionale non è stato semplicemente allenare”.

Questa capacità tanto semplice da essere difficile da descrivere e ancora più difficile insegnare, Mauro Berruto è riuscito a renderla una forza contagiosa capace di pervadere e di trasformare chi l’assorbe.

Un tempo si faceva fare sport ai giovani per educarli alla vita. Nella sua concezione sacrale dello sport che caratterizza il coach Berruto (distillato dei valori che ci distinguono come specie) si può dire che soltanto lui riesce a prendere dei giovani dalla vita per educarli allo sport.

“SAPERE PER ESSERE- Dizionario di crescita personale” di Enrico Prenesti http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788825501735

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