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Palazzo Lancia. La storia al lavoro tra memoria e innovazione

A Torino non c’è solo la Fiat. La nostra città ha visto anche la nascita di un’altra importante azienda automobilista con una storia secolare: la Lancia. Una storia che ha molti aspetti in comune con quella della Fiat: la prima officina nel quartiere di San Salvario, la conversione a industria bellica durante le guerre, il passaggio di testimone tra il fondatore e suo figlio, un quartiere della città per molti decenni identificato con la fabbrica, il boom economico. Se però la Fiat si espandeva soprattutto in orizzontale, coprendo con Mirafiori una buona parte del sud cittadino, la Lancia lo faceva anche in verticale, edificando tra il 1954 e il 1957 il Palazzo Lancia. Con i suoi 70 metri e la sua particolare architettura divenne fin da subito uno dei principali simboli di Borgo San Paolo. Un equilibrato mix di razionalismo italiano (con alcuni aspetti che ricordano il Pirellone di Milano) e di influenze americane (le facciate vetrate), il palazzo sembra suggerire il dualismo da sempre presente in molte aziende italiane: la grande spinta verso la crescita e l’internazionalizzazione da un lato, il legame con una città, un quartiere e una famiglia dall’altro. Forse è anche per questo che la caratteristica più nota del Palazzo Lancia è la sua forma a “ponte”, attraversato nel mezzo proprio dall’omonima via dedicata al fondatore. Il grande edificio, sede dell’azienda e visibile da quasi ogni angolo della città, risulta così appena poggiato a terra, leggero. Come se la sua funzione principale, più che la rappresentanza, fosse quella di unire i due stabilimenti alla base: per non dimenticare mai la centralità del lavoro e della produzione. Non è un caso allora se, fino a pochi anni fa, per molti torinesi era semplicemente “il grattacielo”.

Bich. La rivoluzione dell’usa e getta

A volte il successo è legato a piccole invenzioni. Questa affermazione poteva tranquillamente essere fatta propria da un geniale imprenditore del ‘900, Marcel Bich. In pochi forse sanno che Bich, di origini valdostane e poi naturalizzato francese, è in realtà nato a Torino. Una targa in corso Re Umberto, nella casa natìa, ricorda colui che “semplificò la quotidianità della scrittura”. La grande svolta nella sua vita giunge infatti nel 1953, quando viene a conoscenza dell’invenzione – fino ad allora di scarso successo commerciale – dell’ungherese László József Bíró. Un’invenzione che, nelle mani esperte di Bich (il quale ne rileva il brevetto), si trasforma letteralmente in un fenomeno di massa, nell’oggetto che ognuno di noi ha tenuto per le mani chissà quante volte. Parliamo ovviamente della penna a sfera (“biro” o, semplicemente, Bic, come verrà commercializzata), la quale in breve tempo, grazie al suo basso costo, alla sua semplicità e praticità, inizierà sempre di più a sostituire le penne stilografiche. Ma l’attività imprenditoriale dell’azienda non si ferma qui. La rivoluzione della semplicità e dell’economicità investe altre due sfere della nostra vita quotidiana: l’accendino senza ricarica e il rasoio usa e getta formano, insieme alla penna a sfera, una triade di invenzioni pratiche ed economiche che hanno fatto la fortuna imprenditoriale di Marcel Bich. Grandi storie di piccole invenzioni di successo.

Napoleone Leumann. Uno svizzero di Collegno

Come coniugare il successo imprenditoriale e i diritti dei lavoratori? Questa è sicuramente una delle domande che hanno caratterizzato il mondo del lavoro per moltissimi anni; eppure non smette di essere attuale. Una delle risposte più interessanti all’interrogativo è stata data più di cento anni fa da Napoleone Leumann. Svizzero, appartenente a una famiglia di imprenditori tessili della zona di Pavia, inizia a lavorare nell’azienda quando suo padre decide di fondare una nuova fabbrica a Collegno, poco distante da Torino. Il cotonificio Leumann, sotto la guida di Napoleone, attraverserà a cavallo tra 800 e 900 una grande espansione fino ad arrivare a contare 1500 operai. Ma la chiave del successo, oltre alla qualità dei materiali prodotti, è senza dubbio da rintracciare nella capacità di Leumann di capire le esigenze dei suoi dipendenti, e rispondervi attraverso azioni concrete. La realizzazione del villaggio che porta il suo nome, un piccolo gioiello in stile liberty, è solo la punta dell’iceberg delle varie iniziative portate avanti nello spirito del cosiddetto “paternalismo industriale”. Laddove lo Stato spesso era ancora assente, Leumann finanziò una serie di progetti di vero e proprio welfare state, tra i quali spicca la “Casa del Sole” una colonia profilattica per la cura dei bambini e per la prevenzione delle malattie dell’infanzia. Uno spirito filantropico che andava a braccetto con i successi della sua azienda: basti ricordare il “panno Leumann” che ottenne buone recensioni anche all’Esposizione internazionale di Parigi nel 1900. Un connubio, quello dell’impresa e dell’attenzione al sociale, che è senz’altro uno dei temi del lavoro anche nel nostro XXI secolo.

Torino e le sue eccellenze. La fucina dei Nobel

A volte gli allievi superano anche i più grandi maestri. Si può descrivere così, con uno slogan, la storia che lega i tre premi Nobel torinesi per la medicina. Stiamo parlandi di alcuni tra i più grandi scienziati del ‘900: Salvatore Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi-Montalcini. Ciò che li lega non è solamente la loro comune origine torinese. Tutti e tre, infatti, hanno svolto gran parte del loro lavoro tra Italia e Stati Uniti dove, grazie anche a risorse più consistenti, hanno potuto portare avanti le loro ricerche. A loro dobbiamo importanti scoperte nel campo della genetica e della virologia, ad esempio sulla struttura genetica dei virus (Luria), sulle interazioni dei virus tumorali (Dulbecco) e sull’individuazione dei fattori di crescita cellulare (Levi-Montalcini). Meno noto, forse, è invece ciò che accomuna la formazione dei tre premi Nobel. Tutti e tre hanno infatti avuto un comune maestro. Mossero i primi passi da scienziati nel periodo tra le due guerre mondiali, in una Torino sotto la cappa del fascismo, dove erano pochi i piccoli orticelli di libero sapere che resistevano. Tra questi spiccava il laboratorio di Giuseppe Levi, professore di anatomia, di cui ci si ricorda anche per un bellissimo ritratto che ne ha dato sua figlia Natalia Ginzburg in Lessico famigliare. In quel laboratorio, i tre giovani entrarono in contatto per la prima volta con la ricerca medica. Nel giro di qualche anno arriveranno a superare, per fama e risultati, il loro primo maestro: del quale tutti e tre spesero parole di riconoscenza nelle loro biografie.

Maserati: nel segno del fascino

La parola di questa eccellenza piemontese è quella di Luigi Galante (Head of Manufacturing Premium Brands) “Torino, è vocazione manifatturiera che parla di storia e di appartenenza nella sua evoluzione di stile e verso il digitale; è una città di qualità e attenta alla qualità. La sua storia, il suo know-how costituiscono grandi opportunità per il digitale. Torino è intraprendenza, stile ed innovazione”.
Il fascino dell’automobile risiede, da sempre, nella velocità. Una delle case automobilistiche più antiche e prestigiose del mondo nacque proprio nel segno delle competizioni. Stiamo parlando della Maserati. Fondata nel 1914 a Bologna da Alfieri Maserati, a quel tempo aveva solo 5 dipendenti (tra cui 2 fratelli del fondatore) e si concentrava principalmente sulle gare di corsa a cui Alfieri partecipava in qualità di pilota. La produzione vera e propria inizia nel 1926 con la prima vettura, la “Tipo 26”. In quell’anno nasce anche il logo Maserati, che ancora oggi accompagna le vetture prodotte, ideato dall’unico fratello Maserati che non si era dedicato alle automobili. Il pittore Mario Maserati infatti, prendendo spunto dalla fontana del Nettuno di Piazza Maggiore a Bologna, disegna il “tridente”, inconfondibile simbolo della casa automobilistica. Nel corso degli anni Maserati alterna grandi successi sportivi (la vittoria in Formula 1 con Juan Manuel Fangio nel 1957) e aziendali ad alcune difficoltà finanziarie. Dopo essere stata comprata dall’imprenditore italo-argentino De Tomaso nel 1975, entra nel gruppo Fiat nel 1993. La vera e propria rinascita caratterizza gli anni 2000, con la produzione di nuovi modelli di alta gamma e la diffusione sempre maggiore nei mercati esteri, come gli Stati Uniti. A partire dal 2009 il principale stabilimento si trova a Grugliasco, alle porte di Torino, nell’ex-carrozzeria Bertone: il sito è stato intitolato all’avvocato Gianni Agnelli. Dopo più di 100 anni di storia, il tridente Maserati è ancora simbolo di eleganza e velocità made in Italy.

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