Era una giornata che sarebbe dovuta passare alla storia. Nonostante fosse primavera inoltrata a Torino c’era un cielo autunnale grigio cenere e la pioggia aveva iniziato a cadere fin dall’alba. Una lunga processione di auto aveva finalmente portato l’ospite d’onore all’interno della nuova fabbrica. Le maestranze, circa 50mila persone, erano adunati nel centro della grande pista di collaudo, bagnati e un po’ infreddoliti per la lunga attesa. L’ospite d’onore, accolto dalle autorità e dal senatore, fece un giro dei giganteschi capannoni che, di lì a poco, avrebbero ospitato le catene di montaggio trasportate dal vicino stabilimento del Lingotto, ormai divenuto insufficiente per il crescente volume produttivo. Giunse infine il momento centrale della cerimonia: il comizio pubblico. Dall’alto di un palco in stile futurista, ornato da una gigantesca incudine, l’ospite d’onore iniziò a parlare alla folla. Fu allora che accadde qualcosa di non previsto. Nel mezzo del discorso l’oratore rivolse alla folla una domanda retorica, abituato a sentirsi rispondere con un coro di “sì!”. Quella volta invece, solo le prime file, le più fedeli, risposero, mentre la grande maggioranza degli astanti semplicemente restò in silenzio. L’affronto fu tale che l’oratore quasi lasciò il palco, frenato per tempo dal senatore che lo convinse a concludere, brevemente, il discorso.
Era il 15 Maggio 1939 e Benito Mussolini inaugurava Mirafiori, il più grande stabilimento automobilistico italiano, a tutt’oggi il più antico in Europa ancora in funzione. Quel giorno passò però alla storia soprattutto come un momento di rottura, come un “simbolo della resistenza culturale” al fascismo.